Il “Gigante della carità”, San Camillo de Lellis I camilliani, oggi
I camilliani sono una realtà missionaria sparsa nei Cinque continenti
di Antonio Tarallo
La vita, in breve
“Lascio a Gesù Cristo crocifisso tutto me stesso, e confido che per sua pura bontà e misericordia mi accoglierà, benché io sia indegno di essere ricevuto da così grande Maestà Divina, come già una volta qual buon padre, accolse il suo figlio prodigo; mi perdonerà come perdonò alla Maddalena, e mi sarà benevolo come fu con il buon ladrone all’estremo della sua vita, mentre era in croce. Così in questo mio ultimo passo egli riceverà l’anima mia, affinché riposi eternamente col Padre e lo Spirito Santo (…) I miei protettori sono: la Beata Vergine, san Michele Arcangelo, il mio santo Angelo Custode, san Carlo, santa Maria Maddalena e tutti gli altri santi, in particolare tutti i fondatori degli ordini e delle congregazioni”.
Queste le ultime parole, il suo testamento spirituale, che sintetizza tutta la vita di Camillo De Lellis, il santo degli infermi, degli ammalati. Era il 14 luglio del 1614, il giorno in cui Camillo lasciò questo mondo per entrare nella gloria di Dio. La sera di quel giorno, i confratelli gli chiesero se avesse desiderio di un po’ di brodo. A quella domanda, il santo rispose: “Aspettate un quarto d’ora e mi ristorerò”. Precisamente dopo il tempo indicato, Camillo pronunciò a fior di labbra i nomi di Gesù e Maria. E’ uno dei santi più famosi, soprattutto – potremmo dire – in ambito sanitario, visto che il santo dedicò l’intera vita alla cura degli ammalati. E’ una biografia particolare quella di De Lellis, trascorsa nella sua prima parte fra gioco e dissolutezza. Partito col padre militare per combattere i Turchi – rimarrà poi presto orfano – si ritrovò, successivamente, immobile per via di un'ulcera varicosa al piede. Fu curato all'ospedale di San Giacomo degli Incurabili, a Roma. Ma ben presto, fu allontanato da tale struttura, a causa della sua passione per il gioco. Parzialmente guarito, Camillo si fece mercenario militare, tanto da essere assoldato seconda Lega, a combattere prima in Spagna, poi in Dalmazia e poi a Tunisi. Fu congedato nel 1574, perse ogni suo avere al gioco. Per vivere, dovette mendicare finché non trovò lavoro come manovale nella costruzione del convento dei Cappuccini di Manfredonia (Foggia). E venne poi un giorno che la voce di Dio “tuonò forte”, il 2 febbraio 1575. Camillo decise di abbracciare la vita cappuccina. Ma dopo qualche mese, l'ulcera varicosa si riaprì. Da ciò, il ritorno all’ospedale San Giacomo degli Incurabili. Fu qui che maturò la sua definitiva vocazione: decise di consacrarsi come infermiere al servizio dei malati sotto la direziono di S. Filippo Neri. Dopo alcune peripezie, Camillo pensò bene di fondare una famiglia religiosa indipendente, che prestasse le sue cure agli ammalati. Nacque così l'Ordine dei chierici regolari ministri degli infermi, noti con il nome di Camilliani. La prima l’approvazione della sua “compagnia di uomini da bene” fu opera di Papa Sisto V nel 1586. Successivamente, nel 1591, lo status di ordine da Gregorio XIV.
Il Crocifisso di San Camillo
Un episodio sorprendente, segna la vita del “Gigante della carità”. San Camillo ebbe sempre grande devozione per il Crocifisso, vedendo nel Cristo sofferente l’immagine riflessa di ogni ammalato, di ogni sofferente. Cercava di trovare in esso, sostegno nei momenti più difficili. In particolare, subito dopo la nascita della prima “Compagnia dei Ministri dei primi Infermi”, erano in molti a provare invidia per Camillo. Insieme ai primi compagni, egli era solito riunirsi a pregare in una saletta dell’ospedale San Giacomo a Roma, dove campeggiava un grande crocifisso. Qualcuno, sempre per invidia nei confronti del Santo, ebbe l’ardire si staccarlo dal muro e gettarlo dietro una porta. Un gesto che ferì profondamente Camillo e lo turbò, facendolo dubitare addirittura, sul futuro della compagnia. Ma Cristo gli venne in soccorso. Quella stessa notte, San Camillo, sognò che il Cristo si staccava dalla croce e, andandogli incontro, così lo confortava: “Non temere pusillanime, continua, perché questa non è opera tua, ma opera mia!”. E così fece. L’ “oggetto sacro” si trova a Roma, nella Chiesa della Maddalena, dove è custodito anche il corpo del Santo. Le mani di Gesù Cristo, inspiegabilmente, sono staccate dalla Croce.
I camilliani oggi
Da quel 1591, secoli sono passati. E molti. E l’Ordine si è diffuso in tutto il mondo. I camilliani, infatti, sono una realtà missionaria sparsa nei Cinque continenti con una rete vastissima di ospedali, parrocchie, chiese, centri di ascolto e case di cura e di accoglienza. Religiose, religiosi e laici operano in circa trenta paesi nel mondo tra i quali Australia, Austria, Argentina, Armenia, Benin, Bolivia, Brasile, Burkina Faso, Canada, Cile, Colombia, Ecuador, Filippine, Francia, Georgia, Germania, Haiti, India, Inghilterra, Italia, Irlanda, Kenya, Madagascar, Massico, Perù, Spagna, Olanda, Polonia, Stati Uniti, Taiwan, Tanzania, Thailandia. L’intero globo li vede impegnati, con la stessa devozione e amore per il prossimo del suo fondatore.
Papa Francesco e i camilliani
Lo scorso 18 marzo, il Pontefice ha voluto riservare all’enorme figura di San Camillo De Lellis, alcune parole, durante l’udienza riservata alla famiglia camilliana:
“Dal carisma suscitato inizialmente in San Camillo, si sono via via costituite varie realtà ecclesiali che formano oggi un’unica costellazione, cioè una “famiglia carismatica” composta di religiosi, religiose, consacrati secolari e fedeli laici. Nessuna di queste realtà è da sola depositaria o detentrice unica del carisma, ma ognuna lo riceve in dono e lo interpreta e attualizza secondo la sua specifica vocazione, nei diversi contesti storici e geografici. Al centro rimane il carisma originario, come una fonte perenne di luce e di ispirazione, che viene compreso e incarnato in modo dinamico nelle diverse forme. Ognuna di esse viene offerta alle altre in uno scambio reciproco di doni che arricchisce tutti, per l’utilità comune e in vista dell’attuazione della medesima missione. Qual è? Testimoniare in ogni tempo e luogo l’amore misericordioso di Cristo verso i malati”.
Antonio Tarallo
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